Mangi il pane in solitudine per far
merenda.
Un'anarchia di libri,
di polvere e di fogli accartocciati
ti circonda senza annegarti,
l’ordine del disordine, lo sai già.
All’improvvisso ti prende il desiderio
di versare qualcosa che porti dentro
e con l’argilla della memoria
e il tornio della fantasia
cominci ad alzare
l’anfora che tratterrà
il liquore in agrodolce
di ciò che dici la tua letteratura.
Come in un incantesimo
appare uno specchio nel mezzo della
stanza.
La gatta, che dorme vicino a te, si
sveglia
e dopo il rituale noioso
di sbadigliare e sgranchirsi con
eleganza
si avvicina curiosa, sente l’odore e
struscia il suo manto,
dopo lo attraversa come uno spettro.
Ti alzi spaventato e vai a cercare il
felino,
sono troppi anni che condividi
solitudini
per poter perdere un compagno di
viaggio.
Attraversi il vetro liquido
e ti trovi all’altra parte
con una geografia che ti è familiare:
reinventando, ricreando la verità.
Cammini per le strade, la realtà si
disegna
tra i selciati immaginari
e vedi come la gatta entra in una casa.
La segui, attraversi la soglia,
nel mezzo della stanza c’è una tavola
apparecchiata,
ti siedi, la gatta ti tocca
le gambe dei pantaloni, miagola,
qualcuno dalla cucina ti chiede: sei già
tornato?
e non stai dando alcuna risposta.
Suonano le campane della chiesa.
La casa era piena di gente
che si siede attorno a te e ti dice:
-Ben tornato, di nuovo, Pouet.
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Traduzione di Josep Dionís Martínez
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